Mentre la nostra casa è in fiamme ci illudiamo che la sicurezza delle mura domestiche, il suo calore, il suo eventuale comfort formino un guscio protettivo rispetto alla minaccia del contagio. Le rappresentazioni letterarie e cinematografiche dell’orrore ci hanno abituato a temere il notturno perché è nell’oscurità che spettri, mostri, presenze tendono a manifestarsi, minacciando le nostre vite. La pratica di uso medievale che prevedeva di coprire il fuoco con la cenere per prevenire gli incendi è divenuta esperimento sociale. Le nostre relazioni si restringono, si fanno virtuali e si raffreddano sotto la cenere.
Così ogni sera indossiamo una sorta di preservativo mentale, puntualmente prima delle dieci. Lasciamo all’esterno il perturbante e ci dedichiamo a quelle pratiche rituali che hanno di fatto sostituito il nostro modo di concepire il tempo libero.
Nella migliore delle ipotesi, rincasando dopo il “coprifuoco” in un impeto libertario, lasciamo alle nostre spalle solo il silenzio più totale e un po’ di amarezza per aver interrotto la serata a metà.